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AutoriCivileCommerciale e SocietarioNiccolò D'AndreaProcedura CivileSul valore di prova dei messaggi Whatsapp nel processo civile: il punto di vista del Tribunale di Milano e della Suprema Corte

Con una sentenza resa a fine gennaio scorso[1], il Tribunale di Milano ha specificamente affrontato il tema del valore probatorio dei messaggi Whatsapp nel processo civile ribadendo e facendo puntuale applicazione dell’orientamento adottato dalla Cassazione in fattispecie comparabili.

Più in particolare, nell’ambito di un contenzioso pendente davanti alla sezione Imprese del Tribunale di Milano e afferente l’asserito inadempimento di un contratto con cui veniva trasferita un’azienda commerciale, una delle parti aveva prodotto a supporto delle proprie tesi – come accade ormai decisamente spesso – alcuni screenshot di messaggi scambiati con la controparte tramite Whatsapp, la popolare applicazione di messaging via internet. Il contenuto di detti screenshot era stato disconosciuto e contestato dalla controparte, seppure in modo generico.

Il tribunale, richiamato l’art. 2712 del codice civile in materia di riproduzioni meccaniche e informatiche (tipologia alla quale il documento in questione può essere ricondotto), ha rilevato che ai sensi di detta norma tali riproduzioni formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, “se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosca la conformità ai fatti e alle cose medesime”. Tuttavia nel caso di specie, come il tribunale ha altresì considerato, il disconoscimento del tutto generico compiuto dalla parte ‘destinataria’ della produzione avrebbe dovuto investire la “non rispondenza alla realtà riprodotta nei messaggi rispetto a quella fattuale”; tale non rispondenza avrebbe inoltre dovuto essere dimostrata tramite l’indicazione di “circostanze idonee”, che invece è stata integralmente omessa. In proposito, il tribunale ha richiamato il consolidato orientamento della Suprema Corte (di recente confermato da Cass. Civ. n. 12794/2021 del 13 maggio 2021 e, in precedenza, da Cass. Civ. n. 19155/2019 specificamente in materia di messaggi SMS) secondo cui, onde privare una riproduzione informatica del valore di piena prova e degradarla a una presunzione semplice, occorre disconoscerla in modo “chiaro, circostanziato ed esplicito” nonché supportato dalla allegazione di “elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta”. Pertanto, nel caso di specie, i messaggi telematici riprodotti negli screenshot versati in causa formano piena prova nonostante la loro generica contestazione o ‘disconoscimento’, mentre doveva semmai essere specificato in che modo il contenuto di tali screenshot si discostava dalla realtà.

Per chiarezza va soggiunto che il disconoscimento delle riproduzioni informatiche va tenuto distinto sia da quello che investe la scrittura privata ex art. 214 del codice di procedura civile – il quale priva la scrittura di ogni rilevanza nei confronti di qualsiasi parte, salva l’istanza di verificazione e il suo esito positivo, come di recente stabilito da Cass. SS.UU. n. 3086/2022 del 1 febbraio 2022 – sia dal disconoscimento della copia fotostatica, che deve a sua volta essere chiaro e specifico (così da consentire di “desumere … in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia”: Cass. Civ. n. 3227/2021 del 10 febbraio 2021), ma che non impedisce al giudice di accertarne aliunde la conformità rispetto all’originale.

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[1] Sent. n. 486/2022 del 24 gennaio 2022


Foto: Wassily Kandinsky, Three Spots, 1914