info@goldenblatt.co.uk
49 Russell Square, London, UK

Follow us:

Abstract: Il Tribunale di Roma, con la nota sentenza n. 3654 dell’8 marzo 2022, ha affrontato il tema, da sempre oggetto di dibattito in dottrina, della natura e dell’efficacia giuridica delle decisioni rese dall’Arbitro Bancario e Finanziario.

I.  Breve premessa

L’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF) è uno strumento alternativo di risoluzione delle liti tra investitori ed intermediari finanziari per casi di violazione, da parte degli intermediari, degli obblighi posti in capo a questi ultimi dalla normativa di settore, nell’ambito dei rapporti derivanti dalla prestazione dei servizi di investimento e di gestione collettiva del risparmio. Tale strumento di alternative dispute resolution è stato istituito dalla Commissione nazionale per le società e la Borsa (CONSOB) con la delibera n. 19602 del 4 maggio 2016, con l’obiettivo di consentire ai risparmiatori di ottenere una decisione indipendente, imparziale e “specializzata” (il collegio arbitrale, infatti, si compone di esperti del settore bancario e finanziario) in tempi più rapidi rispetto a quelli mediamente offerti dalla giustizia ordinaria, senza obbligo di assistenza legale e senza particolari costi (se non quello di una marca da bollo dal costo di € 20,00).

La competenza dell’ACF, tuttavia, è circoscritta alle sole controversie incardinate dai risparmiatori che vertono su richieste di somme di denaro nei limiti di un importo massimo pari ad € 500.000,00 e, una volta che il risparmiatore presenta il proprio ricorso all’ACF, l’intermediario è obbligato a partecipare al relativo procedimento, presentando le proprie difese. Il mancato adempimento, in tutto o in parte, della decisione dell’Arbitro da parte dell’intermediario è sanzionato mediante la pubblicazione della notizia: 1) sul sito dell’Arbitro per una durata di cinque anni; 2) sulla pagina iniziale del sito web dell’intermediario per una durata di sei mesi; 3) su due quotidiani a diffusione nazionale, di cui uno economico.

In ogni caso, il ricorso all’Arbitro non preclude all’investitore la possibilità di rivolgersi all’Autorità giudiziaria qualora non fosse soddisfatto della decisione resa.

II.  La natura giuridica incerta dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie.

La natura giuridica dell’ACF è da sempre oggetto di un acceso dibattito, sia in dottrina che in giurisprudenza, e, nel corso degli anni, si sono susseguiti diversi orientamenti che hanno tentato di fornire una risposta chiarificatrice (tentando di assimilare l’ACF ai tradizionali strumenti di ADR, quale, ad esempio, la mediazione). E così, ad esempio:

  1. secondo una prima corrente dottrinale, tale strumento sarebbe da considerarsi al pari di una mediazione. La procedura davanti all’ACF, infatti, termina con un provvedimento decisorio, adottato secondo diritto e suscettibile di comporre l’intera controversia, come un accordo transattivo. Tuttavia, secondo una tesi contraria, l’ACF non può essere assimilato ad una conciliazione tra le parti in quanto non sarebbe una procedura finalizzata ad addivenire a una composizione bonaria della lite, non essendo previsto l’intervento di un terzo nelle veci di mediatore;
  2. secondo un altro orientamento, l’ACF avrebbe la medesima natura giuridica dell’arbitrato. Infatti, come un collegio arbitrale, il collegio dell’ACF ha delle chiare regole di procedura per decidere la controversia tra le parti ed assumerebbe una decisione in conformità con le norme di diritto. In senso opposto, vi è chi invece osserva che l’ACF non sarebbe assimilabile all’arbitrato poiché le parti sono sottoposte ad un regolamento stabilito da terzi (nella specie, dalla CONSOB) e ad una decisione resa da un collegio arbitrarle che decide in autonomia all’esito di un procedimento che ricalca, in forma semplificata, la procedura di un giudizio civile.

La natura incerta e dibattuta dell’ACF, dunque, ha da sempre dato spazio a diverse interpretazioni circa la portata giuridica delle decisioni dallo stesso rese. Questo, quantomeno, sino alla pronuncia resa dal Tribunale di Roma.

III.  La sentenza n. 3654 dell’8 marzo 2022 del Tribunale di Roma.

Sul tema della natura giuridica dell’ACF si è da ultimo pronunciato il Tribunale di Roma con la sentenza n. 3654 dell’8 marzo 2022. Nel caso affrontato dal Tribunale, si discuteva di un’opposizione ad un decreto ingiuntivo ottenuto da un investitore proprio sulla base di una decisione resa dall’ACF, la quale aveva condannato l’intermediario a pagargli la somma di € 15.264,13 che, però, non era stata spontaneamente adempiuta.

Il risparmiatore aveva quindi sostenuto la tesi secondo cui l’ACF fosse assimilabile ad una vera e propria procedura arbitrale, con “un collegio giudicante che definisce una controversia con pronuncia motivata applicando le norme giuridiche che disciplinano la materia” e che, per tali ragioni, la decisione resa dall’ACF costituisse un vero e proprio “contratto ex art. 1372 c.c. avente forza di legge tra le parti”. Sulla scorta di tale tesi difensiva, l’investitore riteneva quindi di poter vantare nei confronti dell’intermediario un credito “certo, liquido ed esigibile” che avrebbe legittimato la sua richiesta di decreto ingiuntivo. Dal suo canto, invece, l’intermediario sollevava preliminarmente eccezione d’incompetenza territoriale del Tribunale di Roma e, nel merito, sosteneva che “la decisione dell’ACF non avesse natura arbitrale e che non fosse vincolante per la banca in quanto non suscettibile di esecuzione forzata”.

Il Tribunale di Roma, seppur dichiarandosi incompetente per territorio, ha comunque ritenuto opportuno, in motivazione, pronunciarsi sul tema, passando in rassegna i vari orientamenti che si sono succeduti nel corso degli anni (v. supra § II), per rilevare, infine, che nessuno dei suddetti può dirsi condivisibile. Infatti, secondo il Tribunale, l’ACF avrebbe delle caratteristiche che lo rendono “unico” rispetto ai tradizionali sistemi di ADR (sebbene abbia riconosciuto che il nomen iuris impiegato per l’ACF sia piuttosto fuorviante), in quanto:

  • l’iniziativa ad adire tale strumento spetta ai soli investitori/risparmiatori e si conclude con una decisione e “non un accordo tra le parti”;
  • le decisioni dell’ACF non prevedono ipotesi di condanna del risparmiatore/investitore ma solo dell’intermediario e, quindi, “non sono vincolanti né hanno idoneità a passare in giudicato o costituire titolo esecutivo”;
  • la “conformazione da parte degli intermediari ai dicta del Collegio dovrebbe essere assicurata tramite la c.d. ‘sanzione reputazionale’, vale a dire la pubblicazione della notizia dell’eventuale inadempimento”.

Alla luce delle suesposte considerazioni, il Tribunale di Roma ha concluso nel senso di escludere che le decisioni dell’ACF possano ritenersi vincolanti tra le parti, non potendo né assumere autorità di giudicato come una sentenza civile e nemmeno costituire un titolo esecutivo su cui fondare un’azione di recupero coatto del credito.

IV.  Conclusioni

In conclusione, dunque, la decisione del Tribunale di Roma riveste indubbia importanza per gli operatori del diritto, posto che tale sentenza ha definitivamente chiarito – in maniera del tutto condivisibile – che le pronunce inadempiute dagli intermediari non possono essere utilizzate dall’investitore per ottenere un’ingiunzione di pagamento dall’Autorità giudiziaria ordinaria.

 

 


Foto: Monet Snow at Argenteuil 1875 – Wikimedia Commons