La dottrina internazionalistica, italiana e straniera, e la giurisprudenza di diversi Paesi esteri si sono talvolta interrogate sull’efficacia di un provvedimento di exequatur al difuori dell’ordinamento in cui è stato emesso, in particolare per quanto concerne la sua attitudine a circolare e a fondare l’esecuzione forzata alla stregua di quanto accade (nei casi previsti dalla legge) per le decisioni di natura sostanziale. Una recente pronuncia del Tribunale di Milano, che ha affrontato proprio questo tema in relazione a una decisione straniera in materia di obbligazioni alimentari, offre lo spunto per alcune considerazioni in proposito.
La circolazione delle decisioni straniere: cenni generali
Come noto le sentenze (in quanto tipica espressione dell’autorità dello Stato d’origine) possono trovare riconoscimento ed esecuzione oltre i suoi confini, laddove ciò sia consentito (a) dalle disposizioni di diritto internazionale privato dello Stato specificamente richiesto o, comunque, (b) da fonti sovranazionali in vigore tra lo Stato d’origine del provvedimento e quello di ‘destinazione’. Può trattarsi di accordi bilaterali oppure di fonti dalla portata più ampia, quali convenzioni multilaterali (ad es., la ormai abrogata Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) o, nel contesto dell’Unione europea, di fonti che a loro volta traggono forza dai trattati istitutivi dell’Unione: il riferimento oggi più immediato è al vigente Regolamento 1215/2012, c.d. Bruxelles I bis, che disciplina la materia un tempo oggetto della Convenzione di Bruxelles 1968.
Peraltro, in relazione al tema trattato nella pronuncia di cui si dirà – i.e. le obbligazioni alimentari – il legislatore dell’Unione ha specificamente dettato il Regolamento 4/2009, il quale a sua volta disciplina competenza, riconoscimento ed esecuzione (oltre alla stessa legge applicabile) delle decisioni rese a questo proposito[1] e al quale sarà dedicato qualche cenno (per quanto sintetico e non certo esaustivo) di seguito.
L’exequatur e la “reciproca fiducia” dei più recenti Regolamenti UE
Generalmente, il pieno ingresso della decisione straniera nell’ordinamento di destinazione avviene a seguito di un procedimento definito di exequatur, in forza del quale essa è ufficialmente dichiarata eseguibile: per il caso dell’Italia, la disciplina in proposito è dettata dalla l. 218/1995 e specialmente dagli artt. 64 e 67, i quali prevedono (i) l’automatico riconoscimento delle sentenze straniere in presenza delle condizioni indicate nell’art. 64; (ii) un procedimento da promuoversi ad istanza della parte interessata, laddove tale automatica riconoscibilità sia contestata o, comunque, perché possa essere promossa l’esecuzione forzata.
Tuttavia, le fonti comunitarie di recente emanazione (tra cui i regolamenti prima citati ed altri dettati in specifiche materie) accordano alle decisioni provenienti da Stati membri dell’Unione Europea non solo il riconoscimento ipso iure, come fa già la nostra legge di diritto internazionale privato, ma anche l’automatica eseguibilità, i.e. l’attitudine a fondare l’esecuzione forzata. La ragione per la quale ciò è stato ritenuto opportuno riposa, per un verso, nel voto di “fiducia reciproca nell’amministrazione della giustizia all’interno dell’Unione” [2], e per l’altro nella volontà di ridurre la durata e i costi dei procedimenti, il che è specialmente rilevante in ambiti di particolare ‘delicatezza’ quale appunto quello degli alimenti[3]. Quindi, prendendo concretamente ad esempio il Regolamento 4/2009: (i) “La decisione emessa in uno Stato membro … è riconosciuta in un altro Stato membro senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura particolare e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento” (art. 17, I comma); (ii) la stessa decisione, se esecutiva nello Stato membro di origine, vale come titolo per l’esecuzione forzata ovunque nell’Unione “senza che sia richiesta una dichiarazione che attesti l’esecutività” (art. 17, II comma). Dunque, in una prospettiva ‘nostrana’, viene meno l’esigenza di esperire la procedura di exequatur contemplata dalla legge 218/1995, e quindi che sia positivamente dimostrata la sussistenza dei relativi requisiti: anzi, la parte contro cui l’esecuzione forzata è promossa, se intende opporvisi, è tenuta a domandare all’autorità giurisdizionale dello Stato membro di destinazione il diniego dell’esecuzione, peraltro in base ai (ben limitati) motivi per cui ciò è possibile, fermo il fatto che la decisione straniera non può costituire oggetto di alcun riesame di merito.
La (non) circolabilità all’estero di un provvedimento di exequatur: il principio exequatur sur exequatur ne vaut
L’eventualità della circolazione all’estero di una decisione straniera, oggigiorno frequente, può però porsi in termini piuttosto diversi laddove il provvedimento straniero sia, in realtà, a sua volta una decisione di exequatur, ossia una decisione con la quale lo Stato “a quo” ha dato ingresso alla decisione di uno Stato terzo (nel proprio ordinamento e ai sensi delle proprie disposizioni ‘interne’ di diritto internazionale privato, generalmente senza alcun riesame del merito). Come anticipato, la questione è stata talvolta affrontata (sebbene, a quanto consta, senza specifico riferimento alle decisioni in materia alimentare) dalla dottrina internazionalistica, specialmente estera, che oggi ritiene acquisito il principio secondo il quale i provvedimenti di riconoscimento non sono a loro volta suscettibili di essere riconosciuti e, dunque, non hanno efficacia oltre i confini dello Stato che li ha emanati. Tale orientamento, di cui è espressione la massima francese “exequatur sur exequatur ne vaut” [4], è accolto anche dalla (invero scarna) dottrina italiana[5] ed è richiamato dalla giurisprudenza di taluni ordinamenti stranieri (in particolare Francia e Lussemburgo[6]); esso trae la propria giustificazione dal fatto che non è evidentemente possibile – e neppure sensato – alcun controllo di riconoscibilità avente direttamente ad oggetto un provvedimento di exequatur, dato che quest’ultimo, per definizione, non potrebbe contenere alcuna statuizione concernente diritti dedotti in giudizio, ma dovrebbe limitarsi a vagliare la sussistenza di taluni requisiti di ammissibilità di una decisione straniera rispetto a uno specifico ordinamento di destinazione. Gli esponenti di tale orientamento considerano altresì, a maggior ragione, il fatto che detto ‘vaglio di compatibilità’ va condotto su criteri (l’ordine pubblico in primis) che sono specifici dell’ordinamento interessato di volta in volta; ecco dunque che, da un lato, compiere detto vaglio a carico di una decisione di exequatur equivarrebbe a saltare ogni controllo sulla decisione straniera ‘di partenza’, invece meritevole di essere esaminata dato che, in ultima analisi, è dell’ingresso di quest’ultima nell’ordinamento di destinazione che si discute; dall’altro, evidentemente non è possibile nemmeno prendere per buono asetticamente l’esito della verifica di cui il provvedimento di exequatur straniero costituisce l’espressione finale, dal momento che tale verifica non tiene in alcun modo conto delle caratteristiche e dei limiti posti dal nuovo ordinamento di destinazione, ma solo di quelli (per quanto in ipotesi simili) propri dell’ordinamento ‘intermedio’.
Segue. L’orientamento espresso dal Tribunale di Milano
Una sentenza del Tribunale di Milano dello scorso febbraio ha costituito l’occasione di prendere posizione (a quanto noto, per la prima volta) appunto sulla questione della circolazione degli exequatur. In quella fattispecie, un soggetto all’epoca residente all’estero veniva raggiunto da una sentenza di un tribunale moscovita, per effetto della quale gli veniva imposto di versare alimenti in una proporzione assai rilevante del proprio reddito annuale. Anni più tardi, su richiesta dei creditori, il provvedimento extraeuropeo veniva munito di exequatur in Lussemburgo, ove il debitore all’epoca risiedeva. Ancora in seguito, i creditori ottenevano dalla cancelleria del Giudice lussemburghese l’attestazione contemplata dal Regolamento 4/2009 per promuovere l’esecuzione forzata negli altri Stati membri dell’Unione e notificavano al debitore un atto di precetto, il quale preludeva all’avvio dell’esecuzione forzata in Italia. Il debitore proponeva opposizione al precetto, eccependo l’assenza di un titolo esecutivo in Italia e, comunque, la contrarietà della pretesa all’ordine pubblico.
L’opposizione è stata accolta dal Tribunale adito sulla scorta di un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, il giudice, esaminato il tenore del Regolamento 4/2009 e dello stesso titolo esecutivo invocato nella specie, ha ritenuto che nel caso specifico mancasse una vera e propria “decisione in materia di obbligazioni alimentari”, nel senso contemplato dalla disciplina europea. A tale conclusione il Tribunale è pervenuto in considerazione della peculiarità dei provvedimenti di exequatur, tale da imporne la distinzione rispetto a quelli ‘di merito’ non solo quanto ai rispettivi presupposti, ma anche alla natura, funzione e struttura di ciascun procedimento. Di contro, nella interpretazione del Tribunale, le disposizioni del Regolamento in parola presuppongono che le decisioni in esso contemplate siano ‘di merito’ e che, pertanto, esista uno “stato membro d’origine” che abbia conosciuto ‘nel merito’ delle questioni sottese (al punto che la “autorità giurisdizionale d’origine” possa essere investita di una domanda di “riesame”, sussistendone i presupposti). Ciò in quanto, in buona sostanza, il regime agevolato di circolazione accordato dal Regolamento alle “decisioni in materia di obbligazioni alimentari” rese negli Stati membri dell’Unione si giustifica solo nel contesto di più ampia armonizzazione della loro disciplina (non solo riconoscimento ed esecuzione, ma anche competenza e legge applicabile) che, evidentemente, non può sussistere in relazione alle decisioni rese da Paesi terzi. In secondo luogo, il Tribunale, muovendo dal rilievo che l’art. 24 del Regolamento 4/2009 consente il diniego del riconoscimento se esso è “manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro … richiesto”, ha osservato che quanto precede vale a maggior ragione con riferimento a sentenze di Paesi terzi, dovendo altrimenti ritenersi ‘fungibile’ il vaglio compiuto sulla base dell’ordine pubblico di un diverso ordinamento. Invece, la automatica circolazione nell’Unione dei provvedimenti di exequatur resi da uno qualunque dei suoi Stati membri si risolverebbe nella privazione di ogni controllo in proposito da parte di tutti gli altri Stati dell’Unione, il che, può aggiungersi, comporterebbe una non voluta estensione a beneficio dei Paesi terzi della “fiducia reciproca nell’amministrazione della giustizia all’interno dell’Unione”, di cui si è detto.
A titolo di notazione conclusiva, sussistono ulteriori elementi che inducono a ritenere che, nelle intenzioni del legislatore dell’Unione, il particolare regime di “fiducia reciproca” tra gli Stati membri debba essere interpretato in senso tale da non poter essere ‘indebitamente esteso’ ai Paesi terzi. Ad esempio, i preamboli del Regolamento 1191/2017 (il quale “promuove la libera circolazione dei cittadini semplificando i requisiti per la presentazione di alcuni documenti pubblici nell’Unione europea”, come recita la sua rubrica) eloquentemente affermano che dall’ambito di applicazione dello stesso “dovrebbero essere esclusi … i documenti pubblici rilasciati da autorità di paesi terzi, anche qualora siano stati già accettati come autentici dalle autorità di uno stato membro”. Infine, è senz’altro significativa la posizione assunta dal Gruppo di Lavoro EAPIL (European Association of Private International Law) proprio in merito alla opportunità che, in occasione della prossima riforma del Regolamento Bruxelles I bis, il principio exequatur sur exequatur ne vaut sia stabilito “as the basic rule”. Difatti, secondo i redattori della proposta, le decisioni che incorporano altre decisioni da Stati terzi sono “highly problematic as they allow judgments from third states – to which the principle of mutual trust does not extend – to circulate freely within the EU without any closer scrutiny.”
[1] i.e. le decisioni “in materia di obbligazioni alimentari”: nonostante dette obbligazioni non siano espressamente definite, possono ritenersi tali quelle (i) che statuiscono sopra obbligazioni nascenti da rapporti di famiglia e (ii) aventi ad oggetto prestazioni periodiche di mantenimento. Le decisioni in materia di obbligazioni alimentari, inoltre, sono espressamente (e opportunamente) escluse dall’ambito di applicazione del Regolamento Bruxelles I bis.
[2] Come è stato ben espresso nel Reg. 1215/2012, considerando n. 26.
[3] Nello specifico, il Reg. 4/2009, considerando n. 22, osserva che “Al fine di assicurare il recupero rapido ed efficace di un credito alimentare ed evitare i ricorsi dilatori, le decisioni in materia di obbligazioni alimentari emesse in uno Stato membro dovrebbero, in linea di massima, avere esecutività provvisoria”.
[4] “The result is the same: an exequatur does not travel, recognized long ago by the European mantra of exequatur sur exequatur ne vaut”: a cura di P. Hay, Resolving International Conflicts: Liber Amicorum Tibor Varady, 2009, p. 144.
[5] V. Giugliano, Le opposizioni all’esecuzione della decisione straniera nel Regolamento (UE) 1215/2012, tesi di dottorato dell’Università degli Studi di Milano, a. a. 2017/2018, pag. 19.
[6] Corte d’appello del Lussemburgo, decisioni del 13 gennaio e del 31 marzo 2021.
Foto: Stories of beowulf fighting the dragon – Wikimedia Commons