ABSTRACT: Secondo la Corte di Cassazione, il chiamato all’eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari è tenuto a redigere l’inventario nei termini di legge anche se intende rinunciare all’eredità.
Il “chiamato all’eredità” nell’ordinamento giuridico italiano
Nell’ordinamento giuridico italiano, colui che per legge o per testamento è “chiamato all’eredità” è titolare del diritto di accettare (o rinunciare) all’eredità, ma non diventa automaticamente erede alla morte del de cuius.
Solo con l’accettazione dell’eredità, il chiamato acquista formalmente la qualità di erede e diviene titolare di beni e diritti del de cuius.
In altri termini, con l’accettazione dell’eredità, l’erede subentra nel patrimonio del defunto sia dal lato attivo (crediti) sia dal lato passivo (debiti) con effetto retroattivo, e cioè dal momento dell’apertura della successione, che coincide con il momento della morte del de cuius.
Anche la rinuncia all’eredità ha efficacia retroattiva. Il chiamato che rinuncia all’eredità è infatti considerato come se non vi fosse mai stato chiamato.
L’accettazione dell’eredità: forma ed effetti
Nell’ordinamento italiano, l’accettazione dell’eredità è “pura e semplice” oppure “con beneficio d’inventario”.
L’inventario consente di accertare la situazione economico-patrimoniale dell’asse ereditario. Attraverso l’inventario, il chiamato è quindi in grado di conoscere la ‘consistenza’ dell’eredità, e cioè se vi siano più crediti o debiti lasciati dal de cuius, ancor prima di diventare erede.
L’accettazione pura e semplice dell’eredità determina la confusione tra il patrimonio del defunto e il patrimonio dell’erede e dà luogo ad un unico patrimonio. L’erede puro e semplice è tenuto al pagamento dei debiti del de cuius anche qualora questi superino il valore dell’attivo ereditato.
Al contrario, l’accettazione con beneficiario d’inventario tiene distinto il patrimonio del de cuius da quello dell’erede. Di conseguenza, l’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario non è tenuto al pagamento dei debiti del defunto oltre il valore dei beni ereditati.
Quanto alla forma dell’accettazione dell’eredità, il Codice Civile prevede una “accettazione espressa” ed una “accettazione tacita”.
L’accettazione espressa consiste in una formale ed incondizionata dichiarazione di accettazione dell’eredità o di assunzione della qualità di erede, fatta dal chiamato per atto pubblico o scrittura privata.
L’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe altrimenti il diritto di fare se non nella sua qualità di erede (ad esempio, la vendita dell’immobile del de cuius).
Il possesso dei beni ereditari da parte del chiamato
La legge prevede una particolare forma di accettazione “pura e semplice” dell’eredità, che può addirittura prescindere dalla stessa volontà del chiamato di accettare l’eredità.
L’articolo 485 del Codice Civile impone al chiamato che a qualsiasi titolo si trovi nel possesso di beni ereditari di fare l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione o da quando ha avuto conoscenza dell’offerta dell’eredità in suo favore. Trascorso tale termine (salva l’eventuale proroga autorizzata dal tribunale) senza che il chiamato all’eredità abbia redatto l’inventario, egli diviene “erede puro e semplice”.
Tale forma di accettazione “pura e semplice” ricorre anche quando il chiamato abbia redatto l’inventario, ma non abbia dichiarato nei successivi quaranta giorni se intende accettare o rinunciare all’eredità.
In sostanza, l’articolo 485 del Codice Civile prevede una modalità di acquisto dell’eredità di tipo “legale” o “presunta”, in quanto opera in via automatica al verificarsi delle condizioni previste dalla norma, indipendentemente da (e talvolta anche contro) la volontà del chiamato.
Secondo la giurisprudenza[1], per aversi accettazione presunta dell’eredità, non è sufficiente il mancato compimento, nei termini di legge, dell’inventario o della dichiarazione di accettazione o rinuncia dell’eredità. Occorre anche che il chiamato abbia il possesso dei beni ereditari, e cioè la disponibilità materiale anche di uno solo dei beni che compongono l’asse ereditario. È altresì necessario che il chiamato abbia la consapevolezza dell’appartenenza del bene all’asse ereditario oltre che della sua stessa qualità di “chiamato all’eredità”.
L’ordinanza n. 36080 del 2021 della Corte di Cassazione: l’obbligo di inventario sussiste anche in caso di rinuncia all’eredità
Con la recente ordinanza n. 36080 del 23 novembre 2021, la Corte di Cassazione ha stabilito che il chiamato che si trovi nel possesso dei beni ereditari è tenuto a redigere l’inventario dei beni caduti in successione anche se intende rinunciare all’eredità.
Secondo la Corte di Cassazione, per il caso di possesso di beni ereditari, una rinuncia all’eredità non è valida ed efficace se non è accompagnata dalla redazione dell’inventario entro il termine di legge.
In altri termini, il chiamato all’eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari può rinunciare all’eredità solo se redige l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione.
Trascorso tale termine senza che sia stato redatto l’inventario, il chiamato decade dal diritto di rinunciare all’eredità e acquista automaticamente la qualità di “erede puro e semplice”.
Di conseguenza, egli risponderà dei debiti del de cuius anche oltre il limite dell’attivo ereditario.
E ciò, anche nel caso in cui la volontà del chiamato fosse quella di rinunciare all’eredità.
La Corte di Cassazione ha infine precisato che il “possesso dei beni ereditari” si presume nel caso in cui il chiamato all’eredità abbia stabilito il proprio domicilio nello stesso immobile in cui aveva il domicilio il de cuius.
Pertanto, anche la mera convivenza del chiamato nella medesima abitazione del de cuius (si pensi al coniuge o al figlio del defunto che continuino ad abitare la casa del defunto) sarebbe idonea ad integrare l’ipotesi di cui all’articolo 485 del Codice Civile e a dar luogo ad una accettazione “presunta” dell’eredità.
Conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione è tesa a garantire l’integrità del patrimonio ereditario e la tutela dei terzi, «evitando che gli stessi terzi possano ritenere, nel vedere il chiamato in possesso da un certo tempo di beni della eredità, che questa sia stata accettata puramente e semplicemente[2]».
A fronte di una tutela “ampia” accordata ai terzi, il chiamato all’eredità è invece gravato di un onere considerevole e a tratti ingiustificato, per il solo fatto di trovarsi nel possesso anche di uno solo dei beni dell’asse ereditario.
Occorre infatti considerare che la redazione dell’inventario è spesso un’operazione complessa, che impone di sopportare costi e spese anche ingenti, che non troverebbero alcuna giustificazione nel caso in cui il chiamato intenda rinunciare all’eredità, eventualmente compensabili attraverso strumenti alternativi di pianificazione della successione e di gestione del patrimonio.
[1] cfr. ex multis: Cass. n. 4456/2019; Cass. n. 5152/2012; Cass. n.11018/2008; Cass. n. 4707/1994; Cass. n. 4835/1980.
[2] cfr. Cass. n. 4845/2003.
Foto: Les roulottes, campement de bohémiens, 1888, Vincent Van Gogh – Wikimedia Commons