ABSTRACT – Per la Corte di Cassazione[1], la società che abbia la residenza fiscale all’estero è comunque soggetta a tassazione in Italia se ha assunto nel territorio italiano le principali decisioni di direzione e gestione dell’attività di impresa
TESTO – La residenza fiscale delle società nell’ordinamento giuridico italiano
La «residenza fiscale» di una società consente di determinare il luogo in cui questa è tenuta al pagamento delle tasse. In altri termini, la residenza fiscale individua il Paese in cui assoggettare a tassazione i redditi ovunque prodotti da un soggetto residente in un determinato periodo di imposta, secondo il principio della «tassazione mondiale» (la cd. «worldwide taxation»).
Nell’ordinamento giuridico italiano, la residenza fiscale delle società si determina secondo i criteri dettati dall’articolo 5 (per le società di persone) e dall’articolo 73 (per le società di capitali) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), introdotto con il D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986.
Secondo tali disposizioni, le società che «per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato» si considerano residenti in Italia e sono soggette al regime fiscale italiano.
Per determinare la residenza fiscale delle società, il TUIR individua tre diversi criteri di collegamento con il territorio italiano, che operano in via alternativa: la sede legale, la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale della società.
In definitiva, secondo le disposizioni del TUIR, per sottoporre a tassazione in Italia i redditi di una determinata società è sufficiente che tale società abbia in Italia il suo oggetto principale, ovvero che vi abbia stabilito la propria sede legale o la sede dell’amministrazione.
La fattispecie dell’esterovestizione societaria
Con il termine «esterovestizione» si indica una possibile forma di evasione fiscale consistente nella fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società in un paese diverso dall’Italia, dove invece la società effettivamente risiede.
In altri termini, una società italiana si stabilisce fittiziamente all’estero (generalmente, nel contesto dei cd. paradisi fiscali) anche se continua ad esercitare la propria attività e a perseguire l’oggetto sociale in Italia, al solo scopo di sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dalla legge italiana.
Il fenomeno della esterovestizione è strettamente connesso al principio di «tassazione territoriale» che trova applicazione alle società non residenti in Italia, in contrapposizione al principio di tassazione mondiale. Per le società non residenti, sono tassati in Italia solo i redditi prodotti sul territorio italiano e non anche quelli prodotti all’estero.
Attraverso la esterovestizione, la società mira ad usufruire di una legislazione più vantaggiosa e, in particolare, di un regime di tassazione più favorevole rispetto a quello che sarebbe applicabile in Italia. Stabilendo fittiziamente la propria residenza fiscale in un Paese in cui è prevista una minore pressione fiscale o in cui sussistono speciali agevolazioni fiscali, la società esterovestita potrebbe infatti ottenere un indebito vantaggio fiscale o un risparmio di imposta.
Il concetto di «sede dell’amministrazione» nella giurisprudenza della Corte di Cassazione
L’articolo 73, comma 5-bis del TUIR ha introdotto delle presunzioni relative di residenza fiscale in Italia per le holding estere controllate o amministrate da soggetti residenti nel territorio italiano. Tali presunzioni aiutano l’Amministrazione Finanziaria nell’individuare i casi di esterovestizione.
Ciononostante, non sempre è agevole per l’Amministrazione Finanziaria individuare dove una società abbia effettivamente la propria residenza fiscale, soprattutto con riferimento al criterio della «sede dell’amministrazione».
Anche la giurisprudenza si è a lungo interrogata sul concetto di «sede dell’amministrazione».
Secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità[2], la «sede dell’amministrazione» della società coincide con la nozione di «sede effettiva» di matrice civilistica.
In particolare, alla stregua di tale giurisprudenza, «sede dell’amministrazione» è il luogo in cui la società svolge in concreto le attività di amministrazione e di direzione e dove sono convocate le assemblee dei soci. Essa coincide con il luogo utilizzato stabilmente dagli organi ed uffici della società per gestire il business e per dare impulso all’attività sociale, dove cioè vengono assunte le principali decisioni sulla direzione e la gestione della società.
Tale interpretazione di «sede dell’amministrazione» è coerente anche con la nozione di «sede dell’attività economica» fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea[3], per tale intendendosi il luogo in cui sono esercitate le funzioni di amministrazione centrale di una società ed adottate le decisioni principali ed essenziali per la direzione generale della società.
L’ordinanza n. 6476/2021 della Corte di Cassazione: il regime fiscale applicabile alla società esterovestita con centro decisionale in Italia
Con la recente pronuncia n. 6476/2021, la Corte di Cassazione ha riaffermato il consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di «sede dell’amministrazione».
Su tale premessa, secondo la Corte di Cassazione, per determinare l’effettiva residenza fiscale di una società è decisivo individuare dove tale società ha stabilito la «sede dell’amministrazione», e cioè dove ha assunto le principali decisioni di management.
Di conseguenza, una società che abbia stabilito all’estero la propria residenza fiscale, sarà comunque soggetta a tassazione in Italia se qui ha adottato le principali decisioni sulla gestione e la direzione sociale. Nessun rilievo ha invece il fatto che la società non abbia posto in essere specifiche operazioni o attività in Italia.
Ne deriva che non è neppure necessario dimostrare che siano state effettuate specifiche operazioni sul territorio italiano per accertare la esterovestizione di una società. È invece sufficiente che la società, pur formalmente residente all’estero, abbia stabilito in Italia la «sede di assunzione delle decisioni», e cioè la sede in cui sono adottate le principali decisioni sugli aspetti di direzione e gestione della società.
Conclusioni
Con la pronuncia n. 6476/2021, la Corte di Cassazione ha affermato che è decisivo individuare il luogo in cui una società prende le sue decisioni di management per determinare quando ricorre una fattispecie di esterovestizione e, di conseguenza, stabilire dove la società abbia effettivamente la residenza fiscale.
Tuttavia, la Corte di Cassazione non ha fornito i criteri che consentano di stabilire quando la «sede di assunzione delle decisioni» della società possa essere effettivamente identificata in Italia. Ad esempio, non è chiaro se una delibera dell’assemblea dei soci tenuta in Italia sia sufficiente per identificare l’Italia come luogo in cui il processo decisionale si è innescato.
Pertanto, non sempre è facile individuare la «sede di assunzione delle decisioni» di una società, perché non esistono parametri predefiniti che consentano di stabilire quando le decisioni di management della società possano considerarsi in concreto «assunte in Italia».
Gli effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare da un accertamento di esterovestizione – anche per le sue potenziali implicazioni penali – rendono quindi consigliabile una gestione prudente e oculata dei processi decisionali svolti da società residenti all’estero.
* Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta con il titolo Where do you pay? A recent Italian Court of Cassation decision on taxation in the International Bar Association (IBA) Corporate Counsel Forum newsletter, December 2021
[1] Corte di Cassazione, ordinanza n. 6476/2021.
[2] Cfr. ex multis: Corte di Cassazione, ordinanza n. 6476/2021; Corte di Cassazione, sentenza n. 16697/2019; Corte di Cassazione, sentenza n. 15184/2019 Corte di Cassazione, sentenza n. 33234/2018; Corte di Cassazione, sentenza n. 2869/2013; Corte di Cassazione, sentenza n. 3604/1984.
[3] CGUE, sentenza del 28 giugno 2007, causa C-73/06.
Foto: Two cut Sunflowers, Vincent Van Gogh, 1887