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ABSTRACT: Secondo la Corte di Cassazione, in assenza di una norma che sancisca, in via generale, l’invalidità del contratto in frode ai terzi, il contratto lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito.

La causa del contratto

L’articolo 1325 del codice civile indica la causa quale elemento essenziale del contratto.

Secondo la tesi tradizionale, la causa consiste nella funzione obiettiva del contratto. In altre parole, essa rappresenta la funzione economica che le parti perseguono con la conclusione del contratto.

Ai fini della validità del contratto, non è sufficiente l’esistenza di una causa, ma occorre anche che tale causa sia lecita, cioè non contraria a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume.

L’assenza della causa, o la presenza di una causa illecita, rendono nullo il contratto.

Il “contratto in frode

Nella prassi accade talora che le parti si determinino a concludere un contratto che, benché lecito nel suo contenuto, miri a conseguire un risultato equivalente a quello vietato dall’ordinamento.

Si parla, in tal caso, di “contratto in frode alla legge”, in quanto il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa.

L’articolo 1344 del codice civile equipara il contratto in frode alla legge ad un contratto con causa illecita e, come tale, lo considera nullo.

Tipico esempio di contratto in frode alla legge è la vendita con patto di riscatto o di retrovendita utilizzata per eludere il divieto di patto commissorio previsto dall’articolo 2744 del codice civile, e cioè il patto col quale le parti concordano che il creditore-compratore diventerà proprietario della cosa ipotecata o data in pegno soltanto se il debitore-venditore non estinguerà il proprio debito nel termine concordato.

La vendita con patto di riscatto o di retrovendita stipulata fra debitore e creditore non costituisce di per sé un negozio vietato dall’ordinamento. Tuttavia, ove tale schema contrattuale sia utilizzato per ottenere la definitiva acquisizione della proprietà del bene in mancanza del pagamento del debito garantito (e cioè per realizzare un risultato equivalente a quello vietato dall’articolo 2744 del codice civile), il contratto è nullo per frode alla legge[1].

A differenza del “contratto contrario alla legge”, che ricorre allorquando le parti mirino a realizzare direttamente un risultato vietato dall’ordinamento giuridico, il contratto in frode alla legge tende a conseguire in via indiretta, attraverso particolari accorgimenti, un risultato illecito.

La “frode alla legge” si differenzia, inoltre, dalla “frode al fisco”, che ricorre allorché le parti stipulino un negozio allo scopo di eludere le norme tributarie (ad esempio, attraverso le pattuizioni contrattuali, le parti potrebbero mirare ad eludere il pagamento dell’imposta di registro o dell’Iva, ovvero ad ottenerne il pagamento in misura ridotta).

Il contratto in frode alla legge si differenzia, infine, dal “contratto in frode ai creditori”, che è diretto a pregiudicare specificamente i creditori, attraverso atti con cui il debitore dispone dei propri beni per sottrarli alla garanzia patrimoniale dei creditori o per ledere la par condicio creditorum.

La “frode ai creditori” ricorre, ad esempio, nel caso in cui le parti simulino una vendita al solo scopo di sottrarre il bene venduto al pignoramento da parte dei creditori del simulato venditore.

La sentenza n. 15844/2022 della Corte di Cassazione

Con la sentenza n. 15844 del 17 maggio 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di contratto in frode ai creditori nell’ambito di una controversia relativa alla restituzione di somme erogate in forza di un contratto di mutuo stipulato tra due sorelle.

La ricorrente contestava la richiesta di pagamento avanzata dalla sorella-resistente, deducendo che le somme concesse a mutuo non sarebbero mai state versate in suo favore dalla sorella, atteso che il contratto di mutuo era stato simulato al solo scopo di far figurare una propria situazione debitoria nel giudizio di divorzio instaurato con l’ex coniuge.

Secondo la ricorrente, il contratto di mutuo sarebbe nullo perché illecito o comunque privo di causa dal momento che, con tale contratto, “si è voluto trarre in inganno il giudice della causa di divorzio, ponendo in essere un fatto palesemente illecito”.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il contratto di mutuo fosse stato effettivamente concluso tra le parti.

La Corte ha quindi escluso che tale contratto avesse una causa illecita per il solo fatto di essere stato stipulato al fine di trarre in inganno i terzi. Ciò, in quanto la causa del contratto di mutuo “non può essere, di per sé, considerata illecita”, né la conclusione del contratto al fine di frodare i creditori rende illecita la sua causa.

In particolare, i giudici hanno affermato che “il contratto lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti[2].

A parere della Corte, il contratto – anche se concluso al solo scopo di frodare i terzi (ed in particolare i creditori) – deve dunque ritenersi valido.

Conclusioni

Nell’ordinamento giuridico italiano non esiste alcuna norma che vieti, in linea generale, il contratto in frode ai terzi. Né del resto è vietato alle parti – nell’ambito della propria autonomia contrattuale – di concludere contratti che possano arrecare un pregiudizio, anche di natura patrimoniale, a terzi.

Il contratto concluso al fine di danneggiare i terzi (sebbene possa essere considerato socialmente o moralmente riprovevole) è dunque ritenuto lecito dal diritto civile, persino quando l’intento di arrecare un danno a terzi rappresenti l’unica o l’effettiva finalità in concreto perseguita dalle parti con la conclusione del contratto.

L’ordinamento si preoccupa però di tutelare i terzi danneggiati dall’altrui attività negoziale, prevedendo rimedi e strumenti specifici correlati alle diverse ipotesi di danno che possano in concreto derivare ad essi.

Nell’ambito di tali rimedi, rientrano in particolare le azioni di diritto civile volte a far dichiarare l’inefficacia del negozio concluso in pregiudizio del terzo (cosiddetta azione revocatoria) e ad ottenere il risarcimento del danno subito.

È peraltro da tenere in considerazione che, a seconda delle specifiche circostanze del caso di specie, il contratto in frode ai terzi potrebbe avere rilievo anche sotto il profilo penale o tributario.

È quindi essenziale valutare attentamente tutti i profili connessi alla potenziale conclusione di un contratto in frode ai terzi, tenendo conto degli effetti e delle conseguenze che potrebbero in concreto derivare dalla sua stipulazione, anche al fine di evitare una declaratoria di inefficacia del relativo atto o l’applicazione delle sanzioni penali, amministrative o tributarie previste dall’ordinamento.

[1] Cfr. Corte di Cassazione, sentenza 9 maggio 2013, n. 10986.

[2] cfr. anche Corte di Cassazione, sentenza 31 ottobre 2014, n. 23158.