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CivileGiada RussoGiovanni GigliottiSilvia BiscegliaAmministrazione di sostegno: esclusa se il beneficiario può avvalersi di una rete familiare per la gestione dei propri interessi personali e patrimoniali

ABSTRACT: Secondo la Corte di Cassazione, il ricorso all’amministrazione di sostegno deve essere escluso nel caso in cui il beneficiario possa contare sulla protezione di una rete familiare o su un sistema di deleghe per la gestione dei propri interessi patrimoniali e personali.

 

L’amministrazione di sostegno

L’amministrazione di sostegno è una misura di protezione finalizzata a «tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente»[1].

Secondo l’articolo 404 del codice civile, la persona che si trovi nella “impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi” per effetto di una “infermità” oppure di una “menomazione fisica o psichica”, può essere assistita da un amministratore di sostegno nominato dal giudice tutelare.

Nel procedimento di amministrazione di sostegno, il giudice tutelare deve sentire personalmente il soggetto per cui viene richiesta la misura e tenere conto non solo dei suoi bisogni, ma anche delle richieste dell’amministrando.

Nella scelta dell’amministratore di sostegno, il giudice deve inoltre avere esclusivo riguardo alla cura e agli interessi del beneficiario. Nel caso in cui il soggetto interessato non abbia precedentemente designato – come è possibile in previsione della propria possibile futura incapacità – un amministratore di sostegno, quest’ultimo dovrà essere scelto preferibilmente tra le persone più vicine al beneficiario (ad esempio, il coniuge, il partner di un’unione civile, la persona stabilmente convivente, il genitore, il figlio, il fratello, ect.).

All’atto della nomina dell’amministratore di sostegno, il giudice deve indicare gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del soggetto amministrato (così, di fatto, sostituendosi all’interessato) e quelli per i quali l’amministratore di sostegno deve limitarsi ad una mera attività di assistenza al beneficiario.

Gli atti eventualmente compiuti in proprio dal beneficiario, in violazione delle disposizioni di legge o del decreto istitutivo dell’amministrazione di sostegno, sono annullabili.

Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana, nonché quelli per i quali non sia stata espressamente prevista la misura dell’amministrazione di sostegno. Rispetto a tali atti, il beneficiario conserva quindi integra la propria capacità di agire, senza necessità di assistenza da parte dell’amministratore di sostegno.

Differenze tra amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione

Nel panorama delle misure di protezione del soggetto incapace, l’amministrazione di sostegno si affianca ai tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, da cui si differenzia per il minor grado di invasività e per la maggiore ‘flessibilità’ della misura.

Mentre gli effetti dell’inabilitazione e dell’interdizione sono sostanzialmente predeterminati dalla legge, gli effetti dell’amministrazione di sostegno sono individuati di volta in volta dal giudice, tenuto conto delle specificità del caso concreto.

In linea generale, l’inabilitato può compiere autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione, mentre necessita dell’assistenza del curatore per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione, e cioè per tutti quegli atti che possano modificare la struttura o la consistenza del proprio patrimonio.

La misura dell’interdizione comporta, rispetto all’inabilitazione, una ancor più rigorosa limitazione della capacità d’agire del soggetto interessato. L’interdetto non può infatti compiere autonomamente alcun atto negoziale, salvo quelli necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.

Il giudice può comunque stabilire che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere autonomamente compiuti dall’interdetto (oppure da quest’ultimo, ma con l’assistenza del tutore), oppure che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato anche senza l’assistenza del curatore.

Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno conserva invece la capacità di agire per tutti gli atti per i quali non sia prevista l’assistenza dell’amministratore, nonché per gli atti comunque necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.

L’amministrazione di sostegno si rivela pertanto uno strumento più ‘elastico’ rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, oltre che meno restrittivo della capacità di agire dell’interessato.

Per tali motivi, l’amministrazione di sostegno è maggiormente utilizzata nella prassi, anche a tutela di quei soggetti che, pur non presentando una vera e propria patologia invalidante, presentino difficoltà nella gestione dei propri interessi, anche patrimoniali.

L’ordinanza n. 21887/2022 della Corte di Cassazione

La vicenda sottoposta all’esame della Corte di Cassazione trae origine dal provvedimento con cui il giudice di appello confermava la misura dell’amministrazione di sostegno in favore di una persona che, seppur non affetta da una patologia invalidante, presentava una “palese inadeguatezza (…) ad occuparsi dei propri interessi” e gestiva con “inerzia” e “trascuratezza” un immobile ricevuto in eredità.

Secondo la Corte di Cassazione, la volontà del beneficiario contraria all’attivazione dell’amministrazione di sostegno deve essere tenuta in debito conto dal giudice, ove provenga da persona pienamente lucida e in grado di autodeterminarsi (come può accadere, ad esempio, nel caso di menomazione o impedimento di natura esclusivamente fisica).

La tutela della persona priva in tutto o in parte di autonomia deve realizzarsi con la minore limitazione possibile della capacità di agire e mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente, che non risultino eccessivamente penalizzanti per la persona.

Di conseguenza, il giudice deve valutare se le esigenze di protezione della persona fragile possano essere soddisfatte in concreto senza ricorrere agli istituti di protezione offerti dall’ordinamento, ad esempio attraverso il supporto dei familiari della persona priva in tutto o in parte di autonomia.

La Corte di Cassazione, riformando la decisione del precedente giudice, ha quindi affermato che deve essere esclusa la nomina dell’amministratore di sostegno ove la persona possa, in concreto, essere sostenuta dalla protezione della rete familiare o da un sistema di deleghe che consentano la gestione efficace dei propri interessi personali e patrimoniali.

Pertanto, ove emergano esigenze di protezione della persona (capace, ma in stato di fragilità), il ricorso a un sistema di deleghe o alla cerchia familiare dovrà essere preferito rispetto all’attivazione degli strumenti di protezione offerti dall’ordinamento (interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno), nel rispetto della dignità e della libertà di autodeterminazione della persona.

Conclusioni

Tra gli strumenti di protezione della persona priva in tutto o in parte di autonomia, il giudice deve scegliere quello più idoneo a consentire la minore restrizione possibile delle capacità del soggetto interessato, tenendo conto delle circostanze del caso concreto e delle effettive capacità del beneficiario.

In particolare, il giudice deve individuare la misura di protezione che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata e, dall’altro lato, limiti nella minore misura possibile la sua capacità d’agire[2].

Di conseguenza, ove la protezione del soggetto beneficiario sia già assicurata, in via spontanea, dai familiari o da un terzo di fiducia, al giudice non sarà necessario imporre ulteriori misure restrittive della capacità d’agire, perché ciò contrasterebbe con i diritti fondamentali della persona alla dignità personale e alla capacità di autodeterminazione

[1] cfr. art. 1 della legge 9 gennaio 2004, n. 6.

[2] cfr. Corte Costituzionale, sentenza del 9 dicembre 2005, n. 440.

 


Foto: Louis-Léopold Boilly, Passer Payez, 1803  – Wikimedia Commons